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In pieno '600 operò il grande Diego Velasquez, pittore che si mosse tra le luci della monarchia e della nobiltà e le ombre di un'umanità reietta, sfortunata, deforme o solo diversa che da sempre attirò la sua attenzione di Velázquez. Egli si dedicò in generale alla rappresentazione sia di soggetti religiosi e mitologici che, specie agli esordi, di bodegones, peculiari nature morte spagnole, raffiguranti episodi con sullo sfondo cucine o taverne.

Velázquez fu in Italia due volte e rimase molto colpito dalla pittura dei grandi veneti, Tiziano, Giorgione, Tintoretto, come pure del lombardo Caravaggio. A Roma realizzò la scena di storia contemporanea La resa di Breda (1634, Prado, Madrid), il nudo femminile della Venere allo specchio (1647-1651, National Gallery, Londra), il ritratto di papa Innocenzo X Pamphilj (Galleria Doria Pamphilj, Roma), superba orchestrazione di rossi, magistrale gioco psicologico, tra il potere, la ricchezza e la voglia di ostentarle da parte del “ritrattato” e il sottile, ma impietoso sfoggio di verità da parte del pittore, che portò il papa ad esclamare “Troppo vero!” dinanzi al dipinto.

 


Lionello Venturi, famoso storico dell'arte e critico italiano del Novecento, diceva a proposito dei ritratti che essi si dividono in due categorie: storici e poetici. La magia di questo quadro sta nell'aver fuso perfettamente le due dimensioni: da una parte la storicità della figura del papa, con la sua forza, la sua determinazione, la sua furbizia, che lo resero protagonista del secolo d'oro dell'arte romana, la stagione barocca; dall'altra parte, la luce nello sguardo, la rilassatezza vigile della posa, la perfetta armonia dei rossi tra loro e del rosso col bianco, il bilanciarsi sapiente di opaco e luminoso, di caldo e di freddo…

 

Bacon, Innocenzo XIl ritratto ha suggestionato tante menti della storia dell'arte, ad esempio Francis Bacon, nella sua inquietante rilettura contemporanea del testo pittorico antico: ecco come i tormenti del Novecento deformano, tormentano e interpretano le belle forme dell'arte classica europea.


Sul grande Velázquez non si possono fare sconti; la sua produzione fu ampia e variegata, come lunga e fertile fu la sua carriera. Mi piace però mostrarvi, più che capolavori a tutti noti come lo scintillante ritratto per la corte “Las Meninas”, almeno un esempio di quella produzione ritrattistica cui facevo cenno prima, l'altra faccia della medaglia, così da mostrarvi almeno qualche ombra del Seicento europeo: la pittura seppe rendere il tormento delle coscienze, le paure, le miserie, le piccolezze dell'animo, come le deformazioni del corpo. Ecco “Don Sebastian de Morra”, olio su tela datato 1645, conservato al Prado, Madrid.
Agli antipodi della bellezza e del fasto della corte, della statura dei potenti, della tenerezza e bellezza dei visi dei loro bambini si situa «quel mondo di mezzo» che nel palazzo era il gruppo degli hombres de placer, gli intrattenitori, nani e buffoni di cui la Corte di Spagna - e la pittura di corte- conservavano tradizione dall'epoca medievale. Velázquez ne ha dipinti parecchi, individualizzandoli, non schernendoli, con una naturalezza e un vigore unici: il fiammingo Don Sebastian de Morra, qui riprodotto, ha uno sguardo profondissimo, di un'acutezza quasi insostenibile; è serio e intelligente; niente della sua menomazione fisica ci fa ridere o ci impietosisce; è dignitosissimo nella sua posa seduta. Altre volte Velázquez ha ritratto soggetti simili in pose buffonesche, in atteggiamenti ridanciani, con cipigli che impietosiscono o in immagini che infastidiscono: Velázquez ha saputo sintetizzare in loro tutta la gamma delle umane emozioni, da quelle più basse e spiacevoli, a quelle più alte, nobili, come la pietà e l'umana comprensione. Sono figure che da sole bastano a esprimere l'umanità profonda di Velázquez, estranea all'enfasi così come alla caricatura. In questo Velázquez è simile a Caravaggio: realistico, ma anche profondo, attento indagatore delle umane passioni, ladro d'eccezione delle forme e delle luci e ombre terrene.


In ambito architettonico nell'arte del Seicento in Spagna la magnificenza sobria dell'architettura di Herrera fu soppiantata verso la metà del Seicento dal magniloquente stile barocco, che ben si adattava al fervido cattolicesimo tipico in particolare della sensibilità della Spagna. La facciata della cattedrale di Granada viene di solito considerata uno dei capolavori dell'architettura barocca spagnola: anche se contraddistinta dal senso di grandiosità tipicamente barocco, ha decorazioni piuttosto modeste, caratteristica che la differenzia dalle opere prodotte successivamente in Spagna, dagli ornamenti esuberanti e complessi. Questo gusto per una decorazione fastosa si sviluppò in particolare nel sud del paese, ad opera della famiglia Churriguera, architetti e scultori attivi soprattutto a Siviglia. Il termine churrigueresco viene talvolta usato per indicare l'intero periodo tardo barocco\rococò nell'architettura spagnola. José Benito Churriguera, ad esempio, fece largo uso di colonne tortili ricche di ornamenti, ma non tralasciò mai una certa solidità architettonica, mentre alcuni suoi seguaci raggiunsero eccessi tali da perdere (e far perdere all'osservatore) del tutto la percezione della struttura sottostante. Nelle colonie americane lo stile rimase in voga fin quasi alla fine del Settecento.

Laura Panarese
 


 

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