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Fondazione Mirò
Fondazione Mirò Barcellona
Creata
nel 1981 da Mirò in persona, la Fondazione barcellonese nasceva come centro di
aggregazione e studio dell'arte contemporanea. Vi sono custoditi moltissimi
pezzi dell'artista, circa 11000: per esser più precisi, più di 5000 disegni,
centinaia e centinaia di opere grafiche, più di 200 dipinti, 150 sculture e 9
arazzi, a testimoniare la versatilità e poliedricità di Mirò, uno dei più
affascinanti artisti del Novecento, a mio parere.
La maggior parte di queste opere furono donate alla Fundació direttamente da
Mirò, mentre altre provengono dalla collezione di Joan Prats e da quella di
Pilastro Juncosa, la vedova di Mirò, o sono donazioni posteriori, come quelle di
Pierre Matisse, o di David Fernández Mirò, nipote dell'artista, o
dell'architetto Josep-Lluís Sert, costruttore della struttura nel 1975.
L'edificio sembra rispecchiare il gusto artistico di Mirò: è un blocco di
cemento armato strutturato attorno a 2 giardini con sculture dell'artista miste
a varie tipologie di alberi mediterranei. Sorge sulla collina del Montjuic. Il
centro dell'edificio è un patio quadrato intorno al quale si snodano le diverse
strutture che formano il complesso architettonico della Fondazione. All'interno,
una parte è riservata a mostre temporanee, un'altra alla collezione. Tra le
opere rientrano alcuni progetti elaborati da Mirò per l'Esposizione Universale
di Parigi (1927) e per il quartiere parigino di La Defense.
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Le sale sono state
pensate col fine di facilitare la contemplazione delle opere attraverso la luce
naturale. La Fondazione ha un vivace dipartimento didattico, come molti musei e
strutture museali in Europa, ormai; poi ha il Caffè, il ristorante, la libreria…
un ambiente vitale di cui Mirò sarebbe stato orgoglioso, di certo. Barcellona
era la sua città natale, ma donandole parte delle sue opere per farci una
fondazione Mirò ne legittimava anche lo status di sua città di elezione.
Joan Miró nacque, come dicevamo, a Barcellona il 20 aprile 1893. Figlio
di un orefice, cominciò a disegnare ad 8 anni. Nel 1910 si trasferì per un lungo
periodo in campagna, nella proprietà familiare di Montroig, il cui ambiente
suggestionò poi buona parte della sua opera, influenzandone sensibilmente forme
e peculiarità. Nel 1912 Miró entrò alla Scuola d'arte di Barcellona, scoprendo
presto il fauvisme di Matisse, Bonnard e compagni francesi… La sua prima
Esposizione fu alle barcellonesi gallerie Dalmau. In questo periodo l'arte di
Mirò sembra più che mai segnata da un profondo attaccamento alla sua terra
nativa, la Catalogna, alle sue tradizioni e alle sue genti. Questa viene dipinta
da Mirò in maniera quasi mitica, unendo il gusto per il dettaglio alla
straordinaria libertà espressiva propria delle avanguardie storiche.
Presto Mirò sentì l'esigenza di trasferirsi a Parigi, dove conobbe il
connazionale Picasso e si legò, per sorte e per elezione, al circolo dadaista di
Tristan Tzara e compagni. La sua pittura mostrava già allora una straordinaria
originalità, caratterizzata com'era da un realismo esasperato da deformazioni
allucinate e
allucinanti,
ipnotiche, sognanti… Con l'opera “Terra arata” a sinistra nel 1923 (olio su
tela, cm 66x92, New York, Solomon R.Guggenheim Museum) Mirò segnò il suo
passaggio al surrealismo: l'amicizia con il grande Masson ebbe un ruolo
fondamentale in questa svolta.
Le opere di questo periodo si caratterizzano per un'atmosfera distaccata,
sospesa, avulsa da ogni connotazione figurativo-realistica. Segni grafici
elementari, colori vivaci e forme astratte divennero abitanti unici del regno
pittorico dello spagnolo. Miró risiedeva alternativamente a Parigi e a Montroig,
in campagna, dove si dedicava spesso ad una pittura abbandonata al più «puro
automatismo» (chiaramente, così automatica non era, essendo pur sempre una
consapevole scelta poetica e stilistica). Ogni effetto prospettico scomparve
dalle tele di Mirò. Segni in libertà, libertà smentita solamente dall'estrema
concretezza di molti titoli delle opere, che allontanavano l'ipotesi si
trattasse di un'arte puramente grafica e decorativa.
A partire dal 1928 Mirò scelse però di intraprendere ricerche nuove: iniziò a
rileggere e reinterpretare, attraverso il gioco surrealista delle associazioni
mentali, i quadri dei maestri del ‘600, ma anche la modernissima pubblicità,
distruggendo e ricostruendo il tutto utilizzando come strumento i collages, le
opere su carta e gli «oggetti surrealisti». L'esempio di un'opera del periodo
può essere “Fiamma nello spazio e donna nuda” (immagine: 1932, olio su carta,
41x32 cm). Al di là della deformazione fisica e dell'armonia squillante dei
colori, non c'è dramma in questo lavoro. Solo libere associazioni mentali, voli
pindarici, concessioni ambiziose alla fantasia ed alla creatività. Arte e
pensiero, linee e colori, senza freni apparenti, tuttavia con disciplina.
Negli anni ‘30 Mirò si cimentò poi in varie tecniche artistiche, tra cui la
stampa (litografia ed acquaforte) e la scultura, creando opere tridimensionali
assolutamente innovative (come questa “Figura con ombrello”, originale del ‘31,
rifatto nel ‘73, con legno, foglie secche e un ombrello, alta 198 cm).
Miró sperimentò anche vari tipi di supporti per la pittura: carta vetro, carta
catramata… Fu anche il suo attaccamento alla terra a portarlo verso la
sperimentazione materica, allontanandolo a tratti dalla pittura. Tra il ‘34 e il
‘36 il maestro catalano dipinse una serie di quadri dedicati alla terra in cui
sperimentò nuove soluzioni pittoriche lavorando spesso su altri supporti
inusuali, come le lastre di rame, raggiungendo esiti di straordinaria
brillantezza ed espressività.
Per quanto riguarda, invece, i soggetti, i contenuti dell'opera di Mirò furono
fortemente condizionati dalla guerra di Spagna nel '37 e subito dopo. Con
l'occupazione tedesca di Parigi Joan Miró rientrò in Spagna, vivendo in
solitudine tra Palma di Maiorca, Montroig e Barcellona, rifiutando ogni
collaborazione, seppure artistica, col regime franchista. Le opere di questo
periodo cupo si contraddistinguono per la presenza di figure, spesso alate, che
sembrano ricordare le Eumenidi, le "antiche dee" di Eschilo, malinconiche e
ostili. Nonostante questo ripiegamento, o proprio in ragione di esso, a questo
periodo risale uno dei suoi capolavori: la "Metamorfosi" di un Ritratto di uomo
del XIX secolo. Del ‘47 è la grande decorazione murale per l'Hotel Terrace
Palace di Cincinnati, eseguita durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti,
mentre la decorazione del monumentale muro di ceramica per il Palazzo
dell'UNESCO a Parigi fu realizzata nel 1958.
All'inizio degli anni Sessanta Miró si recherà altre due volte negli Stati Uniti
dove ricevette ogni genere di tributi e onori, ma fu a sua volta influenzato
fortemente dalla pittura informale americana.
La sua opera, che non aveva mai cercato la completa astrazione, ma aveva creato
un linguaggio surreale poeticamente semplificato, si abbandonò nell'ultimo
periodo al
trionfo
fantastico del colore puro, in una gioiosa libertà formale-informale, direi, se
mi è concesso. Un esempio può essere “L'oro dell'azzurro”, del '67, grande
acrilico su tela, di 205x173 cm, magnifico esempio di piena, consapevole, matura
libertà di segno e di pensiero.
Il 25 dicembre del 1983, all'età di novant'anni, Miró morì a Palma di Maiorca.
Venne sepolto a Barcellona.
Il suo percorso artistico ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo di alcune
tra le più importanti correnti del Novecento, il Surrealismo, l'Informale… nello
stesso tempo ha mantenuto l'autonomia e la libertà grazie alle quali sono nate
opere d'arte tra le più seducenti e originali del secolo scorso.
Io lo trovo semplicemente magico, un alchimista del pennello, uno stratega della
linea, un genio della creazione artistica, un inimitabile poeta della
figurazione. La sua lettura sognante e lirica della realtà, fatta di visioni
semplificate e "fiabesche", ha segnato l'immaginario di generazioni intere di
artisti; la sua opera è stata oggetto di numerosi studi, ricerche, pubblicazioni
ed esposizioni. La Fondazione ne è la prova, “vivente” quanto mai.
Laura Panarese
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